venerdì 29 marzo 2013

Superbia & bontà


"L’uomo, monotono universo,
crede allargarsi i beni
e dalle sue mani febbrili
non escono senza fine che limiti."
(G. Ungaretti, La pietà)
E' facile fare i brillanti sui social network, tanto è vero che ci riesco anch'io!
Su Facebook, in particolare, dove sono sbarcata titubante, metà dei contenuti sono dei copia-incolla - alcuni molto belli - pescati chissà dove e rilanciati all'infinito. L'altra metà, invece, sono pillole di vita accuratamente scelte e presentate per risultare piacevoli a chi li legge: è così che funziona il gioco e, intendiamoci, è divertente. Somiglia un poco alla letteratura...
Non c'è bisogno di mentire. C'è chi fa anche questo, per crearsi almeno nel virtuale una vita migliore di quella che ha, e credetemi, lo capisco; ma non è necessario: basta selezionare.
Il blog, mi pare, consente un ritmo più disteso, testi più lunghi, ragionamenti più complessi, ma resta sempre un "best of", anche quando si parla di cose serissime e dolorose.
Poi tutti sappiamo che la vita vera è un'altra cosa.
Beh, quasi tutti...
A me Grillo che idolatra la rete come una panacea di tutti i mali, ad esempio, fa un po' rabbia e un po' tenerezza.
E' vero che se condividi un problema con mille persone anziché con i tuoi quattro amici è più probabile che qualcuno proponga una soluzione brillante e inaspettata, ma poi... bisogna metterla in pratica!
E le idee, a quanto ne so, per diventare cose, hanno ancora bisogno di camminare sulle gambe degli uomini e delle donne e prender forma dalle loro mani.
E gli uomini e le donne sono bestioline parecchio complicate che, assieme alle idee brillanti e alle trovate geniali, che pure covano in loro e saltano fuori più facilmente nell'incorporeità ovattata dei social network, si portano dietro anche un sacco di problemi pronti a schiudersi quando ci si incontra faccia a faccia.
Simpatie e antipatie più o meno giustificate, manie, paranoie, timidezze e tenerezze che complicano maledettamente i rapporti tra le persone; ma li rendono umani.
Avere a che fare con gli altri è un equilibrio sottile tra superbia e umiltà: la prima serve per portare avanti il più possibile le idee in cui si crede, la seconda per accettare che possano anche essere sbagliate ed adattarsi a quelle degli altri. E non è solo questione di idee, ma anche di impressioni, sensazioni e tutta una gamma di emozioni che hanno molto poco di razionale.
Ed è durissima!
E' talmente dura che a tutti almeno una volta - a me spesso - vien voglia di lasciar perdere: gettare alle ortiche impegni e amicizie e rinchiudersi nel proprio guscietto più o meno incrinato.
Anch'io, per esempio, adesso sto fingendo una razionalità che in questo momento non ho per motivi che non sto qui a spiegarvi; e mi costa una certa fatica augurarvi Buona Pasqua con l'impressione che per me, dopotutto, sia troppo spesso un quasi ininterrotto venerdì santo... ma lo faccio perché è giusto.
Perché spero che a forza di prenderlo a capocciate, questo guscietto incrinato si apra e conduca da qualche parte anche nella vita reale.
Auguri!

giovedì 21 marzo 2013

In primavera è più difficile

"Tra un fiore colto e l'altro donato
l'inesprimibile nulla."
(G. Ungaretti, Eterno)

In un cerchio di sei donne e un uomo, tutti abbondantemente sopra la trentina, solo una sposata da poco, tutti gli altri single, si parla di una conoscente di alcuni dei presenti in attesa del quinto figlio.
L'uomo, come da copione, se ne esce dicendo che son giusti giusti per una squadra di calcetto, o per una briscola in cinque, in caso di pioggia. Le donne single hanno tutte lo stesso pensiero che io, poco diplomatica come al solito, dico ad alta voce: la signora a me ignota ha fatto anche i figli che io non farò.
"Anche i miei", azzarda l'unico uomo, subito zittito da un'amica che osserva: "Taci tu, che non hai la data di scadenza!": un po' brutale, ma vero.
E hai un bel da dire che, infondo, ognuno ha la sua vita: né migliore né peggiore di quella degli altri, semplicemente diversa; e puoi ripeterti in tutta sincerità che ormai hai capito da molti eventi e molti ragionamenti che per certe cose proprio non ci sei tagliata e che saresti, dopotutto, una pessima moglie e un'insopportabile madre. E puoi anche inca**arti con sacrosanta ragione con chi si ostina a giudicare una donna solo perché ricopre - o no - questi due ruoli canonici; e rimanere allibita da chi, per rientrarci, in questi ruoli, si tappa il naso e accetta compromessi per te intollerabili. Ma comunque ci pensi a quel che poteva essere e non è stato. Forse è inevitabile, fisiologico, mi viene da dire.
Ci penso persino io, che sono ormai da anni maestra nell'arte autoconsolatoria dell' "è meglio così".
Un'arte che in primavera, a volte, mi riesce un po' più difficile...

PS: Visto, Simona, che leggendo il post del 5 marzo m'hai chiesto esattamente questa cosa e io t'ho risposto evasiva. Alla fine, devo ammettere, avevi ragione tu.

giovedì 14 marzo 2013

Gente così...

Sì, d'accordo, arrivava sempre con dei ritardi esasperanti che andavano dai 30 ai 120 minuti ed entrava tranquillo, senza nemmeno scusarsi.
Sì, d'accordo, mi costringeva a inviargli e-mail minacciose per ricordargli lavori in sospeso, che poi completava, invariabilmente all'ultimo momento, ma sempre in tempo utile per evitare problemi con i clienti.
Sì, d'accordo, ogni volta che ci incontravamo sembrava sempre appena tornato da una vacanza o in procinto di partire (e talvolta, effettivamente, lo era, essendo dotato di una morosa da andare a trovare in un lontano e caldo posto di mare): sorridente, rilassato e con l'aria di chi, dopotutto, sa godersi la vita; tanto che, lo confesso, mi faceva venire voglia di mettergli le mani addosso, non so bene se per dargli una bella scrollata e chiedergli: "Ci sei o ci fai?" o per abbracciarlo e dirgli: "Beato te, vorrei avere anch'io la tua leggerezza!".
Grazie al cielo non ho mai fatto né l'una né l'altra cosa: c'era tra noi troppa poca confidenza e chi mi conosce lo sa che faccio molta fatica ad essere espansiva. Soprattutto con gli uomini.
Però mi piaceva il suo modo di "occupare lo spazio", le rare volte che si installava nel nostro ufficio come se ci lavorasse da sempre: sistemava con cura le sue cose attorno al portatile e tra queste, a seconda della stagione, potevano comparire anche un thermos con tisana o un paio di mele, tirate fuori con estrema nonchalance dalle tasche di un improbabile e molto vacanziero paio di bermuda.
Mi piacevano le interminabili chat nate per risolvere qualche grana di lavoro, nelle quali s'insinuavano, spesso, dialoghi surreali e battute fulminanti.
Mi sorprendeva quando, ogni tanto, mi raccontava qualcosa di sé e delle sue insospettabili passioni, o mi mandava una foto fatta in qualche bel posto senza nessuna precisa ragione.
Ora, buon per lui, si è trovato un lavoro serio: ci ha detto che non ha più tempo per fare il free lance e che, quindi, non avremo più occasioni per lavorare insieme.
E io, anche se so che non ne ho alcun diritto, son qui che muoio dalla voglia di digli che, dopotutto, mi mancherà. Ma non lo farò. Purtroppo...

martedì 5 marzo 2013

Semplificare

"Ciò che accade tu lo scrivi?"
"Ciò che io scrivo accade"
(M. Ende, La storia infinita)

Semplificare. Semplificare, tagliare e banalizzare: questo è quanto mi viene chiesto ogni volta che mi trovo a scrivere un testo per i bambini.
Non usare metafore.
Non usare citazioni di libri, film, canzoni che loro non possono conoscere (non si sa mai venga loro la curiosità di chiedere ai genitori cosa sono e da dove saltano fuori...).
Limitare congiuntivi e condizionali (perché per i periodi ipotetici dell'irrealtà non hanno ancora inventato un vaccino!).
E, soprattutto, mi raccomando: paragrafi brevi con poche subordinate e testi non più lunghi di dieci righe alla volta, che se no non c'arrivano in fondo.
Ok, ok, guardate che lo so che sono prolissa e contorta anche quando mando un sms. E questo è sbagliato. Ci sto lavorando. Da anni ormai. E ben vengano suggerimenti e correzioni.
Ma, buon dio del cielo! Siamo davvero sicuri che proporre un testo che scorre via liscio e piatto, senza nessuna difficoltà, senza nessun guizzo di senso e di ritmo sia l'unico modo per far leggere i bambini?
Ok, ok. Io non scrivo libri, ma articoli per giornalini e siti internet, che stanno alla (buona) letteratura per l'infanzia come un hamburger del MacDonald sta a una cena da Cracco; ma voglio un mondo di bene ad ognuno di questi miei piccoli "figli di carta": le uniche cose che mi sia riuscito finora di mettere al mondo.
So che non sono perfetti e sarei disposta a correggerli fino allo sfinimento, se non sapessi che non mi si chiede di migliorarli, di renderli più chiari, comprensibili ed evocativi, ma solo di spiumarli quel tanto che basta per farli stare nello spazietto loro assegnato e perché non ci sia pericolo che volino, o che, per sbaglio, aiutino qualcuno a volare...
Eppure io sono tuttora infinitamente grata a tutti quegli autori di libri, film, cartoni animati e fumetti che, quand'ero bambina, non mi hanno trattato come una deficiente. E, pensate un po', mi piacerebbe essere capace di fare lo stesso. Anche se non sono certo Ende o Rodari o la Pitzorno.
Perché è grazie a Zio Paperone che so cosa vuol dire "autoctono" e so dov'è il Klondike (beh, più o meno)...
E sono convinta che nessuno si appassioni a nulla - tantomeno un bambino - se non si sente sfidato ad usare la sua intelligenza per comprenderlo.
Ma le convinzioni, dice un proverbio delle mie parti, sono come i sogni.
E Cenerentola insegna che i sogni son desideri.
Ma coi sogni e i desideri non si mangia. E nemmeno con la cultura, a quanto pare...
Oh, sì, oggi sono piuttosto arrabbiata. Si vede?
Saluti fumantini!