giovedì 26 maggio 2011

Viulenzaaaa!

Scena: interno sera. Una donna - fianchi larghi e capelli lunghi - lava i piatti dando le spalle al tavolo di cucina al quale è seduta sua madre, che le sta allargando un paio di pantaloni.
Ad un tratto la donna si accorge che una zanzara le sta azzannando un braccio con notevole soddisfazione e, di scatto, mette il braccio sotto l'acqua del rubinetto.
Figlia: "Ahhh! una zanzara!
Madre: "L'hai spiaccicata?"
Figlia: "No, l'ho annegata."
Madre: "Prima dovevi strozzarla."
Figlia: "..."

Se ogni tanto mi capita di dire robe strane, insomma, non è solo colpa mia.

PS: non so di chi sia l'illustrazione della zanzara desolata che ho rubato. Se l'autore se la ritrova qui a sua insaputa, prima mi scuso e poi gli faccio i complimenti!
PPS: sia chiaro, mia madre è una persona pacifica.

lunedì 23 maggio 2011

L'ospite atteso

Ci sono, a volte, pensieri così alati da ripercorrere il sentiero della creazione.
Ci sono, a volte, desideri così profondi che si addensano, fino a farsi bambino.

A Chiara, che, negli anni in cui giravamo l'Italia per convegni, è stata la sorella che non ho mai avuto; poi, per sua fortuna, ha trovato una strada migliore. E a Filippo: la sua strada.
Auguri!

lunedì 16 maggio 2011

Tre donne tra i libri (per non parlare del trolley)


"Le librerie mi fanno da ansiolitico e anche da antidepressivo"
(G. Carofiglio, Ragionevoli dubbi)

Le motivazione che ci hanno spinto a visitare, anche quest'anno, il Salone del libro erano serie e profonde. Non si trattava tanto di tener fede al punto 2 del nostro decalogo, né di trovare un passatempo intelligente per una domenica diversa. Il vero motivo per cui siamo andate a Torino era dar modo a Costi di utilizzare il trolley rosa shocking, che si è fatta regalare "ad uso fiere". Così un inedito terzetto, formato da me e Costi in compagnia di Simo, che si è ormai guadagnata la tessera di ciosa onoraria, è partito all'alba su un treno pieno di pendolari assonnati e, inseguito da nuvoloni neri e scrosci di pioggia (strano, vero?), è sceso alla stazione Lingotto con il sole (strano, davvero!). Qui abbiamo cercato di imbucarci sulla navetta, che credevamo gratuita e non lo era. Scese al volo, siamo risalite con il biglietto quando stava già per partire. Davanti agli ingressi della fiera c'era una bella fila, ma Costi era agguerrita (sarà per il trolley?) e si è diretta decisa all'ingresso riservato agli insegnanti per avere il biglietto scontato. Io e Simo ci siamo messe buone buone ad aspettare. Il sole era caldo e l'aria fredda e limpida: arrivava fin lì dalle Alpi ancora innevate intraviste dal treno. Non è male stare così, in compagnia di persone disposte a perder tempo per i libri. Dopo poco Costi riappare. "Già fatto?" No. E' che all'ingresso riservato non c'è nessuno e la cosa la lascia basita. Poveri insegnanti: li hanno maltrattati tanto nelle ultime finanziarie che non hanno nemmeno la forza di venire al Salone del libro?! La convinciamo a ritentare e ci ritroviamo all'interno dopo il consueto attimo di disorientamento: "Sono all'altro ingresso" "Ehm, quale?". Facciamo un rapido piano d'azione: "Bene. Allora, andiamo dritte e poi proseguiamo per file". A metà della prima fila di stand stiamo già divagando, attratte dal nome sfizioso di una casa editrice, dalle copertine colorate dei libri per ragazzi o da quelle fosche dei romanzi gotici (vero, Simo?). Decidiamo che non è un problema. Tanto è impossibile vedere tutto e, comunque, non ci perderemo: basterà tener d'occhio il trolley rosa shocking. Il metodo è empirico, ma funziona.
Ci eravamo segnate alcuni incontri con scrittori che ci interessavano, poi, anche in questo caso, ci siamo fatte prendere dall'anarchia e ne abbiamo visti altri che a malapena avevamo sentito nominare. Confesso: ci siamo fermate soltanto quando avevamo bisogno di sederci e li abbiamo ascoltati addentando panini e merendine, ma, alla fine, abbiamo scoperto persone interessanti. C'era il giallista arguto (Malvaldi) rammaricato della mancanza di ironia e leggerezza dei nostri tempi; gli scrittori lombardi (Biondillo e Vitali) e napoletani (De Silva e Starnone) che si confrontavano sui temi dell'identità locale. Parlavano bene con intelligenza, eleganza e una certa modestia, piuttosto rara oggi. E' stato bello ascoltarli così, un po' per caso...
Ci siamo incantate a guardare sconosciuti fumettisti disegnare sconosciuti personaggi (ma i poster di Pratt e le tavole di Cavazzano li ho puntati da lontano ...). Siamo state fermate da un poeta che perorava la sua opera prima, da un venditore di programmi per lavagne interattive alla disperata ricerca di maestre, da un giovanissimo editore che realizza libri a basso costo, a cui faceva gli occhi dolci una attempata scrittrice, e da un altrettanto giovane artista che stampava col torchio immagini liberty.
Siamo rientrate cariche di cataloghi ("Avete visto che il trolley serviva!") e con un acquisto di libri relativamente scarso: da uno a tre a testa; perché, come ha osservato giustamente Simo, quando se ne vedono troppi assieme, subito si vorrebbe prenderli tutti, poi, visto che non si sa quale scegliere, si tende a rinunciare. La verità è che a tutte e tre piace stare tra i libri, ma il nostro sogno resta sempre la botteguccia con gli scaffali di legno e un/una libraio/a simpatico/a con cui chiacchierare: avete presente "C'è posta per te"?
Ah, sì, abbiamo anche arraffato qualche gadget (segnalibri, penne, cartoline ecc.), ma il bottino è stato scarso. Sarà la crisi, che ha imposto agli editori di limitare i regali e di dare le ambite borsine di tela soltanto a chi acquistava minimo due libri? O non sarà piuttosto che ci mancava Dani, maestra assoluta nell'arte del gratuito? Ai posteri l'ardua sentenza!
A noi è rimasta una bella stanchezza, un chilo e mezzo di carta in più, la voglia di tornare l'anno prossimo e, beh, un trolley rosa shocking!

lunedì 9 maggio 2011

Ho fatto un... Giro

Ieri ho fatto un giro al Giro. Non accade tutti i giorni che il traguardo del Giro d'Italia ti capiti in città, lungo la strada che fai ogni mattina per andare a lavorare. Metti poi che passi di domenica, in una giornata di sole e che tu abbia trascorso mezza giornata a lavare golf, per terminare, una buona volta, il cambio di stagione e abbia assoluto bisogno di staccare un po'. Che fai? Vai a dare un'occhiata, anche se sei tra le persone meno sportive dell'orbe terracqueo. E come vai a vedere il Giro se metà delle strade sono bloccate? Ovvio: in bicicletta. Anche se hai una vecchia pseudolandese senza cambio che, dopo il frontale fatto l'anno scorso con un ragazzotto in bici elettrica, ogni tanto cigola e spernacchia perché la ruota dietro non è più tanto rotonda. E provate entrambe - tu e la bicicletta - un po' di vergogna incrociando amatori azzimati a bordo di due ruote luccicanti e auto d'appoggio colme di tecnologici pezzi di ricambio.
Essendo poco esperte di manifestazioni sportive, vi potrebbe anche capitare di arrivare quando i ciclisti sono ancora a 20 km dal traguardo e il pubblico è rado; e di riuscire, perciò, ad avventurarvi fin davanti alla tribuna delle premiazioni e piazzarvi lì, parcheggiando la bici alle vostre spalle, contro il muro del convento delle Carmelitane, così anche lei, poverina, può godersi lo spettacolo. Peccato che nel giro di pochi minuti tra te e la bicicletta si materializzino file di curiosi pigiati tra il muro e le transenne e la tua bici scompaia alla vista. E' un momento di apprensione, ma i corridori, che viaggiano all'inverosimile velocità di 50 km all'ora, sono già entrati in città e persino tu ti fai prendere dall'entusiasmo. Ci sono papà con bambini sulle spalle, ragazzi che spiegano alle morose il significato delle maglie, rispettabili signore di mezza età con maglietta e cappellino rosa e... occhiali da sole a forma di bicicletta! In effetti il sole picchia e anche tu ti attrezzi con occhiali da sole e, visto che non hai un cappellino, ricicli il foulard che hai al collo. Così finisci per assomigliare alla Dama Bianca con il naso di Coppi. Devi ammettere che è divertente. Cominciano ad arrivare le auto e le moto di scorta e ti rendi conto che, fino a quel momento, stavi guardando nella direzione sbagliata. Finalmente vedi i ciclisti. E' un lampo. Non ne conosci nemmeno uno e non sai se applaudirli o fotografarli. Fai le due cose insieme e il risultato è che solo una delle foto è da salvare. Solo quando salgono sul palco per le premiazioni, assieme alle solite inutili modelle e al sindaco più abbronzato di loro (sia dei ciclisti sia delle modelle), scopri che ha vinto un italiano. Applaudi di nuovo e speri che lo schizzo dello champagne non ti raggiunga. Bene. E' finita: puoi tornare a casa. No, non puoi. La tua bicicletta è incastrata in mezzo alla folla e fatichi a raggiungerla. Quando ci riesci ti rendi conto che non puoi spostarla di un millimetro. Ti ci siedi sopra rassegnata e ti sfiorano le maledizioni di chi cerca di passare e si ritrova il manubrio nel diaframma (o più giù, a seconda dell'altezza). Rimpiangi di non esserti messa una maglietta giallo Parma per mimetizzarti con il muro. Aspetti che la folla si diradi. Appena si apre un varco ti ci infili. Inforchi il tuo mezzo di locomozione e decidi di rincasare percorrendo a ritroso un pezzetto della strada che han fatto i ciclisti. Stanno già smantellando. Schivi un enorme camion che raccoglie transenne, ti chiedi come diavolo hanno fatto a non cadere sul pavé sconnesso di Via d'Azeglio e ti accorgi che stai pedalando liscia, leggera e più velocemente del solito. Bella cosa l'autosuggestione!

giovedì 5 maggio 2011

Bambini

"Quando i grandi
sanno vivere da adulti,
i piccoli possono finalmente
vivere da bambini."

(Tonino Milite)

Non dirò dei figli delle ciose, che crescono belli e simpatici, ma di quelli che bambini non sono, almeno anagraficamente, ma tendono a comportarsi come tali. Mi è capitato di averne parecchi attorno negli ultimi tempi, soprattutto sul lavoro, tanto che giusto ieri, parlando con la mia collega, abbiamo concluso che a fare il nostro mestiere, più che una laurea in comunicazione o in materie letterarie, ne occorrerebbe una in psicologia.
C'è quella che si preoccupa di correggere e ricorreggere minuzie nell'ultima pagina di un giornalino che avrebbe dovuto uscire due mesi fa, bloccandolo per qualche altro giorno ancora; quella che, dopo aver avuto in mano per un mese la scaletta di un altro giornale, si accorge che, forse, uno dei finanziatori avrebbe potuto richiedere una pagina tutta per sé e dunque occorre chiamarlo e reimpostare tutto il giornale (già scritto per metà) perché non si sa mai... Ah, e c'è quell'altro che vuole che si invitino i lettori a una bella vacanza nel deserto. Sì, certo, dove? Libia? Egitto? Tunisia? Non c'è che l'imbarazzo della scelta!
Queste e altre perle sono frutto di gente che ha minimo dieci anni più di me, lavora da molto più tempo di me e, diciamolo, guadagna almeno il triplo. E non si tratta di inesperienza. Temo invece che siano entrati con entrambi i piedi nell'ottica molto italica della marchetta: devono rendere conto agli sponsor, ai finanziatori, al direttore, al sindaco o a chiunque stia un gradino sopra di loro. E hanno paura. Sarà la crisi, con teste che saltano anche dove non ti aspetteresti, ma temo che oggi il primo pensiero di molti professionisti non sia fare un lavoro ben fatto, ma non scontentare nessuno, non turbare equilibri e, magari, dare anche un'incensata qua e là, prima ancora che venga richiesta, in una sorta di preventiva rinuncia a fare delle scelte e a prendersi quelle responsabilità per le quali, dopotutto, vengono pagati. Non sto parlando di incapaci, ma di "brave persone"; gente normale che, forse per non rodersi il fegato (come faccio io) o forse per disillusione, regredisce pian piano allo stadio di bambini. Si bevono in modo acritico quel che viene dall'alto e lo riversano sulle malcapitate ultime ruote del carro, a cui, ovviamente, tocca fare i salti mortali per conciliare l'inconciliabile. Ad esempio: come si fa a trovare un modo elegante per parlare a dei bambini di quanto sono belli i campi estivi organizzati dal tale ente quando le iscrizioni sono già chiuse da un mese e i campi si faranno tra un mese. Che ne faccio? Un invito? Ovviamente no. Una cronaca? Nemmeno. Però bisogna parlarne. Perché? Eh, bisogna!
Mi consolano due cose: che, grazie al cielo, ancora si incontra gente capace di portare avanti un progetto con serietà ed entusiasmo, e il fatto che, per fortuna, io mi occupo di piccole cose e - anche quando son costretta a lavorare male - non faccio un gran danno. Mi preoccupa un po' di più l'idea che lo stesso sistema lo applichino, che so, un medico o un politico. E li vediamo ogni giorno questi amministratori pubblici che litigano come bambini per spartirsi l'ultima fetta di torta; che mettono giù il muso, negano persino l'evidenza e rispondono "ma io non credevo, ma io non intendevo...", purtroppo senza il candore con cui lo fanno i bambini.
Intendiamoci, anch'io non mi ritengo immune da questa tendenza. Sono anch'io tra quei "bambini" a cui ha dato una bella strigliata il solito Paolini (scusate...) a Padova per il 1° Maggio: incapaci di stare zitti per un solo intero minuto di silenzio, di decidere e organizzarsi da soli, e così diversi dagli "adulti", che, a suo tempo, scrissero la Costituzione.
E ci sarebbe un gran bisogno di adulti oggi. Non gente seriosa e inibita, ma responsabile, che, per esempio, sappia dare il giusto peso ai rapporti di lavoro, d'amicizia, d'amore, senza gettarseli dietro le spalle da un giorno all'altro come fanno i bambini con un giocattolo con il quale si sono stancati di giocare. Ma questa è un'altra storia.
Eh, Cri, come sei pesa oggi! Lo so, lo so. Ho preso quattro chili e una taglia. Abbiate pietà...