lunedì 31 gennaio 2011

La gallina sdentata

Amiche e amici del pollaio, come promesso mi accingo a pubblicare qualcosa di più frivolo (e goloso..) sul nostro blog! Parto, però, da un antefatto che proprio frivolo non è: da un paio di settimane , infatti, sono "sdentata", potrei dire anche "senza giudizio", nel senso che mi sono liberata di quel dente che mi aveva dato qualche problema negli ultimi anni. Sono consapevole che ci sono cose ben peggiori, ma conoscendomi e, quindi, meravigliandomi di me stessa, sono riuscita a non farmi prendere dal panico e a cogliere gli aspetti positivi della vicenda: essere a casa per tre giorni dal lavoro, guardare vecchi film in videocassetta e sperimentare in cucina ricette "morbide" da gustare senza masticare troppo. Allora via con tortini di patate, sformati di verdure, polenta con sughi vari e, soprattutto, dolci al cucchiaio!! Così ho sperimentato la ricetta che vi propongo oggi e che ho "inventato" dopo aver curiosato su vari libri di cucina: la crema cotta all'arancia con salsa di cioccolato.
Ecco gli ingredienti per 6 persone:
per la crema: 1 litro di latte, 8 tuorli, 9 cucchiai rasi di zucchero, 7 cucchiai di farina, una bustina di vanillina, la scorza di un'arancia non trattata, un bicchierino di liquore all'arancia.
Per la salsa: 200 grammi di cioccolato fondente, 70 grammi di latte.
Mescolate in una ciotola i tuorli con lo zucchero fino a ottenere un composto cremoso, poi unite poco alla volta la farina setacciata e il liquore. A parte mettete il latte in un pentolino con la scorza dell'arancia e la vanillina. Portate a ebollizione il latte e, quando bolle, versate il composto di uova, zucchero e farina e cuocete per 2-3 minuti. Versate la crema in 6 coppe e lasciate raffreddare. Intanto sciogliete il cioccolato in un pentolino con il latte e versate la salsa ottenuta sulla crema e servite quando è fredda.
Con l'augurio che i vostri denti siano sempre in perfetta salute, buon appetito!!

giovedì 27 gennaio 2011

Si scivola

E' la Giornata della Memoria. Inutile che vi dica cosa ho guardato ieri sera in tv. Il testo che segue è nato da lì. E' poca cosa e, ovviamente, strettamente legata alla mia vita e al mio lavoro. Ognuno potrebbe aggiungere all'elenco episodi che riguardano la sua esperienza, perché è da quella che si comincia a scivolare nell'indifferenza e nella barbarie, ieri come oggi.

Si scivola.
Si scivola, quando si ritiene normale che nei giornali fiocchino errori grossolani perché non c’è più nessuno a rileggerli, né tempo per farlo.
Si scivola, quando chi lavora nella comunicazione sostituisce il copia-incolla alla ricerca, senza nemmeno curarsi di controllare l’affidabilità delle fonti.
Si scivola, quando non si prova nemmeno a far valere le proprie ragioni di fronte a un committente che non sa fare il nostro mestiere e pretende cose assurde, per paura di un confronto o, forse, solo per pigrizia.
Si scivola, quando persone intelligenti affermano che la cultura è roba da ricchi e non sanno, o dimenticano, che le biblioteche sono gratis, le lezioni universitarie sono pubbliche e la bellezza è sparsa a piene mani nelle strade delle nostre città.
Si scivola, quando l’arte è provocazione, il teatro esasperazione, la scrittura autocelebrazione di se stessa o dell’autore e la televisione autoassoluzione dalle proprie debolezze.
Si scivola, quando in alcuni momenti della vita – il lavoro o l’amore – rinunciamo ai principi morali, sospendiamo il giudizio, per non perdere occasioni, per non essere costretti a dire un no: parola inconcepibile.
Si scivola, quando si sta zitti, si ingoia, ci si adegua, ci si volta dall’altra parte: perché la vita è una, breve e complicata. Molto complicata.
Si scivola.
Si scivola, ma quando si scivola non si sa mai fin dove si può cadere; né se ci sarà qualcuno, laggiù, disposto a risollevarci.

E ora, vi prego, pubblicate qualcosa di frivolo. Siamo galline, che diamine!

venerdì 21 gennaio 2011

Garibaldi fu... tradito?

Sono fuggita un'ora e mezza prima dal lavoro per andarli a sentire, incastrandomi nell'ultima sedia libera in fondo all'Aula dei Filosofi gremita. Il giornalista, entrando, ha abbracciato la stanza con uno sguardo largo, da nomade che si orienta in un nuovo spazio; il professore ha sorriso fissando dritta la piccola folla. L'uno ha occhi chiarissimi, slavi come il suo cognome, coi quali ha visto tanto mondo e tanta gente in pace e in guerra e una voce profonda, da esser curiosi di sentirlo cantare; l'altro ha un viso e una voce da ragazzino, pur non essendolo, e l'aria gentile ma decisa di chi, dopotutto, è ancora convinto che la storia possa insegnare qualcosa. Il giornalista è Paolo Rumiz. Lo so che l'ho già citato anche troppo in questo blog, almeno quanto il suo amico attore bellunese; ma non è colpa mia se nel giro di dieci giorni son capitati entrambi dalle mie parti, per un caso che, non si trattasse di me, non esiterei a definire fortunato. Il professore è Alessandro Barbero, che non ho mai citato, ma che conoscevo perché cura una rubrica a Superquark. Capirete che non potevo mancare. Come avrete intuito la conferenza riguardava Garibaldi e il Risorgimento e il titolo era "Quest'Italia che ci tocca raccontare": sufficientemente ironico e musicale per ipotizzare sia opera di Rumiz*. Giuro che non mi metterò a farvene il riassunto, anche se - a differenza dei molti studenti universitari presenti - ho preso appunti, direi quasi per deformazione professionale. Ma un paio di cose le voglio ricordare. Anzitutto è emerso chiarissimo il fatto che i grandi nomi dell'Unità d'Italia, quelli che di solito stanno vicini nella toponomastica delle città (via Mazzini, via Cavour e, ovviamente, piazza Garibaldi), in realtà non si potevano soffrire: avevano idee diversissime, ma su una cosa sola erano d'accordo: che fosse bene unire questo strano paese. Ci sono riusciti e poi... hanno ricominciato a litigare. E a farne le spese pare sia stato proprio Garibaldi, uomo dai mille mestieri e mille progetti, che però ci credeva ed era democratico quando dirlo era quasi una parolaccia; un po' osannato e un po' guardato con sospetto, allora come oggi, usato come un simbolo dai rossi e dai neri e, in fin dei conti, tradito da una numerosa schiera di politici intriganti e voltagabbana e, dunque, deboli e ricattabili (eh, sia chiaro, sto parlando dell'Ottocento!). Uno che, pur con i suoi limiti, si è battuto per la libertà propria e altrui, mentre a noi, oggi, più che la libertà, importa la sicurezza, perché "siamo sempre prontia farci prendere da grandi paure irrazionali" ha detto Barbero, "e a dare la colpa agli altri: al nord, al sud, agli stranieri, anziché a una classe dirigente fallimentare (di entrambi i colori) che ha governato troppo a lungo senza mai pagare i suoi conti" ha aggiunto Rumiz. Beh, lui in realtà citava l'esempio di quel che è accaduto 20 anni fa nei Balcani, comunque... Insomma, pare che l'Italia non sia altro che "una buona idea nata male" (Rumiz), "però non è detto che debba per forza continuare così..." ha concesso con la consueta grazia lo storico. Non troppo rassicurante, ma meglio di niente. Confesso che avevo in borsa l'ultimo libro di Rumiz e, visto il fuggi fuggi alla fine della conferenza, avrei potuto facilmente chiedergli un autografo, ma non me la son sentita. Mi affeziono molto alle persone che con le loro parole - scritte o pronunciate - mi aiutano a vivere e a pensare e ho una maledetta paura di romper loro le scatole. Accidenti. Saluti timidi, ma patriottici!
* Errata Corrige: ho scoperto che il titolo è quello della rassegna organizzata dall'Università e dall'Istituzione biblioteche che prevede più incontri con vari autori, quindi non può essere suo, ma è comunque bello.

martedì 11 gennaio 2011

"Un minuto di rivoluzione", ovvero il pendolo di Paolini

Che a me quest’uomo piaccia penso ormai sia chiaro anche ai lettori più distratti capitati in questo pollaio virtuale. In questa foto poi, che è sicuramente d’autore (col quale mi scuso per averla "presa in prestito" dal web), mi pare sia venuto particolarmente bene: è meno torvo e si vedono gli occhi azzurri. Che con quest’uomo alcune di noi abbiano un conto in sospeso dalla scorsa estate è anch’essa cosa arcinota (nel caso non lo sia, vedi post del 6 luglio 2010). Ebbene, ieri sera quel conto l’abbiamo saldato, sotto lo sguardo serio delle superstiti statue del monumento a Verdi, all’Arena del sole di Roccabianca: uno strano teatro dal palco disassato nella piazza di un paesino che più guareschiano non si può. Lo spettacolo era “Itis Galileo”: certo non uno dei suoi lavori più facili. Non è lieve e giocoso come l’infanzia raccontata ne “La macchina del capo”, è meno denso e commovente di “Vajont”, meno ricco di quella specie di viaggio poetico-letterario-musicale che è “Bestiario italiano”: forse il mio preferito, perché ha qualcosa del teatro canzone di Gaber, che ho avuto l’immensa gioia di vedere, un po’ per caso, dal vivo. Eppure non credo sia da tutti riuscire a costruire un bello spettacolo parlando da solo per due ore della vita di Galileo Galilei e di altri scienziati a lui contemporanei, di astronomia (e astrologia), di fisica, storia e filosofia con l’aiuto di pochissimi elementi di scena tra cui, appunto, un pendolo: un attrezzo di metallo che diventa, di volta in volta, strumento dello scienziato, mina pronta ad esplodere – e far danni – come le idee nuove ("le idee vecchie fanno sempre ridere... dopo; ma mentre ci si è in mezzo è difficile cavarsene fuori"); poi sfera celeste entro cui ruotano i pianeti e, infine, scomoda altalena – o palla psichedelica – sulla quale pare vacillare, oltre a Paolini, anche la nostra presunta modernità. Notevole l'attacco: entra in scena concentrato, scende dal palco e dice soltanto: "Un minuto di rivoluzione". Silenzio, e poi "Bravi: avete percorso 1800 chilometri". Con quattro parole il nostro ha introdotto l'argomento della serata, scardinando una frase fatta (un minuto di silenzio) e trasformandola in qualcosa di nuovo: cos'è un minuto di rivoluzione? Un minuto del moto della Terra di cui non ci rendiamo conto, certo, ma rivoluzione è un termine quanto mai evocativo. Che si fa in un minuto di rivoluzione? Ci chiediamo noi spettatori, incerti su dove voglia andare a parare. E intanto ci ha già presi e forse proprio il silenzio, nella società della comunicazione, ha in sé qualcosa di rivoluzionario... Insomma, è difficile trovare qualcun'altro capace di avvincerti persino parlando di economia, di rugby o di scienza come riesce a fare lui. No, beh, io almeno un paio ne conosco e, come sapete, anche loro mi piacciono parecchio: Piero e Alberto Angela. Però non ce li vedo a recitare Shakespeare (contemporaneo di Galileo) e un brano del "Dialogo sopra i massimi sistemi" entrambi in lingua madre - la sua lingua madre: il dialetto veneto! - con la perizia consumata del teatrante, quale infondo Marco Paolini è e rimane. Per fortuna. Dunque un grazie, un applauso e, speriamo, alla prossima!
Ah, per la cronaca: stavolta pioveva, ma con garbo. E, visti i precedenti, direi che c’è andata di lusso…

sabato 1 gennaio 2011

Auguri nel blog!


"E' nato!
Alleluia! Alleluia!
E' nato il sovrano Bambino.
La notte, che già fu sì buia,
risplende d'un astro divino".
(Guido Gozzano)

A otto giorni esatti dal Natale e in occasione del Capodanno, lascio un ricordo d'infanzia per augurare a tutte le ciose e ai sostenitori un felice 2011!
La citazione è uno stralcio di una filastrocca di Guido Gozzano che racconta in modo fiabesco gli eventi narrati dall'evangelista Luca e che avevo imparato (quasi, perché è molto più lunga..) a memoria in quarta elementare..!
Buon anno!!